Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 10.03.21, ha condannato la piattaforma Facebook a risarcire ad un utente la somma di € 14.000,00 a titolo di danni non patrimoniali per avere immotivatamente rimosso il suo profilo personale e le due pagine ad esso collegate, a cui ha aggiunto € 12.000,00 per lo scorretto comportamento processuale tenuto nel corso del giudizio.
Il Giudice ha infatti stabilito costituire un vero e proprio abuso la rimozione d’autorità di un profilo, laddove tale decisione non sia supportata da alcuna valida motivazione, giungendo a condannare la piattaforma a risarcire i danni che il suo illecito comportamento ha cagionato al titolare del profilo.
L’utente in questione ha dimostrato che da oltre 10 anni utilizzava tale piattaforma con un proprio profilo, che le sue pagine erano ricchissime di contatti e interazioni, e sulle quali erano conservati numerosi documenti, fotografie, messaggi, filmati, contatti che, con la rimozione del profilo, erano definitivamente persi, anche perché Facebook, a fronte delle rimostranze dell’utente che ne chiedeva il ripristino, aveva risposto che tale operazione era divenuta impossibile, il tutto senza minimamente giustificare le ragioni che l’avevano indotta a prendere tale decisione.
Nell’ordinanza si legge che “… la rimozione di contenuti e la sospensione o cancellazione di account è prevista soltanto per le giuste cause indicate nel regolamento contrattuale, con obbligazione per il gestore di informare l’utente delle ragioni della rimozione” quindi “…la rimozione di un profilo personale o di una pagina ad esso collegata, in carenza di qualsiasi violazione delle regole contrattuali da parte dell’utente, e in carenza di qualsiasi informazione all’utente delle ragioni della rimozione, configura un inadempimento del gestore”, in questo caso della piattaforma Facebook.
Peraltro Facebook era l’unico soggetto in possesso di tutti i dati (fotografie, contatti, messaggi, interazioni sociali, ecc.) dell’utente e quindi aveva l’onere di custodirli, tanto più che trattandosi di dati immateriali erano agevolmente conservabili, quantomeno per un certo periodo di tempo.
Sostanzialmente il Giudice ha ritenuto che la società di gestione si sia assunta un vero e proprio obbligo contrattuale nei confronti dell’utente di mantenere il profilo e la pagina Facebook, e di garantirne la conservazione dei dati, la cui violazione da diritto a quest’ultimo di chiedere il risarcimento del danno subito.
Tale danno è stato determinato sul presupposto che il diritto di svolgere la propria vita di relazione e manifestare liberamente il proprio pensiero costituiscono uno dei diritti fondamentali della persona tanto che sono previsti e tutelati dalla nostra Costituzione e nella società moderna tale diritto si esplica anche attraversi i mezzi posti a disposizione di internet.
Il Giudice ha precisato che la partecipazione al social network Facebook rappresenta oggi un importante elemento per la vita di relazione dei suoi utenti poiché “…Facebook non è solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero”.
Ad evitare il danno non è certo sufficiente una nuova iscrizione dell’utente alla piattaforma perché ciò non gli consentirebbe di recuperare tutti i suoi dati accumulati nel corso degli anni, che sono andati irrimediabilmente perduti.
Sulla quantificazione del danno (in questo caso non patrimoniale) il Giudice non ha potuto che individuare una somma ritenuta equa in ragione del livello di intensità dell’utilizzo del profilo e della quantità dei dati perduti, a cui ha aggiunto un ulteriore somma per “punire” lo scorretto comportamento processuale tenuto da Facebook nel corso del giudizio, che ha cercato di ostacolare il giudice nella corretta ricostruzione dei fatti e nel ricercare della verità.